Le origini della ricerca orafa contemporanea: il gioiello da opera artigiana a opera d’arte - decima parte

La nascita dell’oreficeria contemporanea in Italia

“La qualità di un progetto dipende dal grado, sia pur minimo, di cambiamento culturale che innesca”.

Ancora oggi esistono in Italia due tipi di produzione orafa: una commerciale, creata a stampo dalle grandi Case produttrici o dall’orafo nella piccola bottega, apprezzata da una clientela tradizionalista e poco curiosa, e una contemporanea, di ricerca, realizzata sia dall’artista di chiara fama (intendendo non solo pittori e scultori, ma pure architetti e designers) che si cimenta in un campo, quello dell’oreficeria, a lui sconosciuto, sia dagli artisti dell’oro.

Della prima dovrebbe occuparsene il mercato e le sue leggi, della seconda la critica artistica. Si può capire bene un atteggiamento di cauto riserbo nei confronti di un’arte, quella dell’ornamento, che da sempre è esposta alle correnti mutevoli della moda e del gusto e che fatica a rinnovarsi dal punto di vista progettuale.

Detto questo, non si può giustificare la poca attenzione della critica contemporanea nei confronti del gioiello, ancor di più se si pensa che l’Italia è tra i primi paesi industrializzati al mondo per quanto riguarda la produzione e la lavorazione dell’oro; mi riferisco ai tre distretti maggiori, Arezzo, Vicenza e Valenza Po, e ad altri centri orafi come Milano, Firenze, Genova, Napoli, Torino e Fano.

Come si è già accennato in precedenza, anche per l’Italia, il secondo dopoguerra sancisce l’inizio di una ricerca autonoma nel settore dell’oreficeria. Tra il 1945 e l’inizio degli anni Sessanta, l’Italia visse una stagione straordinaria all’insegna della ricostruzione e del rinnovamento. Crebbero in modo esponenziale la produzione e i salari. L’informazione e l’istruzione aiutarono a diffondere bisogni e desideri di “massa”. Il boom economico favorì la nascita di un ceto medio dinamico, propositivo, attento alle novità e, soprattutto, desideroso di acquistare. La donna assunse nuova centralità nell’ambito familiare e lavorativo, decretando la propria emancipazione. Imovimenti giovanili di contestazione politica, che di lì a poco avrebbero animato, anche violentemente, le piazze cittadine, cominciarono a desiderare un tipo di vestiario e ornamento non omologato e imposto dalle convenzioni sociali.

I nuovi ciondoli, spille e bracciali esplicitavano una scelta ideologica ed erano realizzati in materiali inconsueti e poveri come corda, cuoio, paste di vetro, argento o plastica. Il chiaro grido di protesta delle giovani generazioni contro i valori della nuova società capitalistica e tecnologica richiamano alla mente gli intenti di arretrare ad uno stato “semplificato”, originario, più naturale, di un gruppo di artisti che, in quegli stessi anni, elesse il materiale “povero” a proprio linguaggio espressivo (Mario Merz, Giuseppe Penone…).

Si producevano oggetti industriali per la casa e per la persona, in particolare gioielli che ora potevano essere alla portata di tutti e, d’altro canto, le classi più abbienti, che amavano sfoggiare ricchezza e benessere, prediligevano ancora le creazioni delle grandi maisons come i gioielli firmati da Bulgari.