Per quanto riguarda la realtà orafa di allora, il gioielliere romano Mario Masenza lasciò, nel 1950, sulle pagine della rivista «Italia», una vivida testimonianza:
"durante l’ultima guerra i gioiellieri italiani furono costretti a sospendere ogni attività; si fermarono le vendite, si arrestò la produzione e il nostro lavoro si ridusse a quello di semplici sequestratori delle stesse aziende che ci appartenevano. Ma se l’ozio è il padre dei vizi lo è anche della riflessione, e alcune volte soltanto attraverso una sospensione del proprio lavoro si può raggiungere una pienezza di analisi, direi addirittura una severità di autocritica che non è possibile nei periodi di attività. […] Non ci accorgevamo nemmeno più di essere diventati degli agenti di borsa e che a noi si rivolgeva solo chi voleva investire i propri risparmi in oro. Dove erano finite le tradizioni dell’antica arte orafa italiana? […] Bisognava tornare al passato, bisognava tentare un ravvicinamento fra gli artisti e il gioiello. Da principio non fu facile."
Il mondo orafo italiano, che fino ad allora aveva stancamente portato innanzi una tradizione ormai superata da tempo, o aveva guardato alle produzioni orafe viennesi o francesi di primo Novecento, adottandone gli stilemi come puro fatto estetico, aveva bisogno di un rinnovamento sostanziale. Questo, tuttavia, non significa che fino agli anni Cinquanta non ci siano stati gioiellieri italiani che abbiano creato dei piccoli capolavori d’oreficeria. Basti pensare a Mario Buccellati (Ancona, 1891 – Milano, 1965), al milanese Alfredo Ravasco (Genova, 1873 – Ghiffa, 1958) e a Fulco di Verdura (Palermo, 1899 – Londra, 1978) che lavorò soprattutto all’estero; tutti grandi maestri però di oreficeria tradizionale.
La gioielleria di ricerca italiana, invece, come afferma Pandora Tabatabai Asbaghi, «pervenne alla sua maturità» con l’arte informale. Gli artisti, lavorando l’oro, materia informe, fluida e duttile, plasmata e trasformata in incontrollabili manifestazioni di pensiero, ritrovavano gli stessi stimoli che percepivano nel creare un’opera d’arte informale.
Mentre Franco Solmi, citando Lara Vinca Masini, parla di gioiello contemporaneo nel momento in cui partecipa ad un mondo culturale in cui si esprime non più l’adesione a forme, linguaggi o mode dettate dall’alto, e non discutibili, ma la libertà anche dissacratrice dell’individuo: testimonianza ad un tempo della scontata pluralità delle linee ideologiche e culturali e di una frammentazione dei valori ideali di cui si tratta di recuperare non l’astratta unitarietà ma il senso dialettico, e problematico, che è alla base dei nuovi miti e dei nuovi riti dell’oggi.